Sull’aereo di ritorno dall’ultimo viaggio a New York, tra tutte le informazioni che mi rimbalzavano nella testa, rimuginavo sul seguente adagio: “ Quando il tuo insegnante tiene contemporaneamente una lezione di Gi, una di No Gi e una di MMA hai solo due possibilità; o è un completo idiota o una mente superiore”
John Danaher appartiene alla seconda categoria.
Conosco John dal 2011, quando per la prima volta misi piede in quella cittadella del jiu jitsu che è la Renzo Gracie Academy a New York, sicuramente una della scuole più interessanti in cui mi sono allenato, un luogo in cui si respira la vera arte del jiu jitsu brasiliano e dove le sue diverse espressioni si fondono sapientemente, generando atleti che sono sotto i riflettori dei più importanti eventi mondiali, sia nel jiu jitsu che nelle MMA.
Solitamente la formazione di atleti di punta in una qualsiasi accademia di jiu jitsu è più che altro una mera questione probabilistica; più è alta la quantità di atleti, più alta è la probabilità che in un numero ampio vi siano un paio di praticanti talentuosi che grazie alla passione, al talento, e una buona dose di ore passate su su you tube si facciano strada nel mondo delle competizioni ottenendo risultati , si spera, di rilievo.
La funzione dell’istruttore nell’apprendimento tecnico della disciplina oramai ha una funzione abbastanza relativa, più che altro serve a non fare inciampare il neofita in grossolani errori nei primi anni di allenamento, mentre per l’allievo avanzato ha una funzione che si sposta verso il coaching strategico e motivazionale. Sorrido dunque quando sento il maestrone di turno decantare le proprie abilità didattiche, riconducendo le vittorie del proprio pupillo ad un ”metodo” da lui coniato. Bisognerebbe chiedergli: “…e tutti gli altri allievi (la stragrande maggioranza) che hanno provato il tuo “metodo” e che dopo anni di allenamento a mala pena mescolano il caffè col cucchiaino?”. Silenzio cimiteriale.
Detto ciò, questa che secondo me è una regola, ha le sue eccezioni che nel nostro campo sono rare ma ci sono; una di queste è proprio Jhon Danaher e le sue tecniche di formazione, uniche nel suo genere. Le ragioni per cui Mr Danaher risulta essere così dirompente dal punto di vista didattico e comunicativo sono molteplici, ma ci vorrebbero pagine per descriverle; tra le immagini più vivide e particolari che ho delle sue lezioni, oltre ad alcune sequenze tecniche davvero inusuali, ricordo come, utilizzando principi di biomeccanica derivati dalla corsa veloce correggeva George Saint Pierre sulle entrate successive ai diretti ( cosa che ho prontamente inserito nel mio programma ) o affinava il double leg di Weidman, già wrestler professionista, per il match contro Gastelum….tutto ciò seduto a gambe incrociate.
Grazie ad internet è possibile attingere alla didattica di Jhon anche dal proprio PC, ma credetemi come al solito, e in questo caso ancora di più, il valore della spiegazione tecnica non sta tanto nel “cosa” ma nel “come”, nella modalità con cui viene spiegata, nei piccoli dettagli che solo un occhio attento e appassionato riesce a scorgere, nella prossemica del corpo e addirittura nel tono della voce, tutte cose che si percepiscono esclusivamente nel vivo delle sue lezioni, fruibili e spendibili dal neofita cintura bianca come dal professionista più esigente .
Jhon è una figura molto particolare e forse controversa nel mondo del jiu jitsu. Ha completamente ribaltato lo stereotipo del Maestro vecchia scuola in cui per insegnare era necessario aver fatto “la guerra “, ha dimostrato come una formazione strategica, razionale e misurata possa superare il più classico e istintivo apprendimento per imitazione. E’ un paradosso vivente, un rivoluzionario, un Maestro filosofo, che lentamente e silenziosamente si è imposto come forse il più influente insegnante di jiu jitsu, nella più rinomata scuola Gracie a livello mondiale, senza fare Gracie di cognome e senza aver mai messo piede sul tatami di gara in vita sua.

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